Saggi critici

Saggi critici

Un giovane pittore che promette: Michele Lanzo, in «Roma», 26 aprile 1965

Alla galleria La Barcaccia di Domenico Carunchio espone un giovane pittore, Michele Lanzo che affronta per la prima volta il giudizio della critica e del pubblico. E’ un autodidatta che lavora da anni con una tenacia ed un fervore esemplari. D’altra parte le sue opere (figure, paesaggi, nature morte) lo testimoniano: esse recano i segni di una personalità creativa e nello stesso tempo di un tormento espressivo di considerevole rilievo. Ha lavorato senza il conforto di consigli autorevoli. Solo con se stesso, in un colloquio lungo, spesso drammatico con la natura e con le cose, da cui ha tratto, per la virtù intuitiva del suo istinto, non pochi insegnamenti. Timido, modesto, tutto chiuso in se stesso, Michele Lanzo oggi si affaccia sulla ribalta con una trentina di dipinti, scelti tra le centinaia da lui realizzati nel corso di varie stagioni. Osserviamoli questi paesaggi dai cieli lividi («Campagna», «Case nei pressi di Quarto», «Paesaggio invernale»), queste sue figure di donne immobili e stupefatte («Adele», «Annalisa») su cui ha esercitato il suo spirito introspettivo, non senza prima averle modellate con uno schietto sentimento plastico; osserviamolo con attenzione tutto il complesso delle opere raccolte in questa mostra; e ci accorgeremo che Michele Lanzo non è un esordiente improvvisato, ma un artista che ha già raggiunto risultati notevoli, sia nella definizione di un suo mondo poetico, sia per la coerenza stilistica che contraddistingue i suoi dipinti.

Pietro Girace

Mostra personale di Michele Lanzo, in «Corriere di Napoli», 8 maggio 1965

Anche alla Barcaccia ha esposto, giorni addietro, Michele Lanzo. Si tratta di un giovane autodidatta calabrese che vive a Pozzuoli. Il quale è alla sua prima mostra personale presentato da Piero Girace, sempre alla ricerca di nuovi artisti di cui valga la pena di occuparsi. E all’infuori dell’ottima ed esauriente presentazione del nostro amico e collega, Michele Lanzo, nativo di Laurana di Borrello, non ha altri titoli o notizie biografiche, non il solito curriculum: è un pittore per così dire vergine. È per vocazione e non per essersi improvvisato come infiniti altri giovani in questi tempi di pitturomania mondiale. Michele Lanzo, infatti, la sua reale disposizione verso la pittura, pur senza aver studiato nelle cosiddette accademie, la dimostra con la massima asprezza genuina nell’affrontare il disegno della figura umana, col voler ostinatamente penetrare, approfondire il disegno che è la radice della pittura. E i suoi colori sono aspri e vivaci, le tonalità crude, ma l’impianto strutturale, per quanto ingenuo, non manca di una certa efficacia realistica. E ne deduciamo che se Michele Lanzo non si lascia suggestionare dal facile conformismo delle nuove estetiche, sarà proprio attraverso questo suo procedimento difficile, perché controllato sul vero, che troverà il modo più sicuro per affermarsi.

Alfredo Schettini

Michele Lanzo al “Sedile” di Lecce, in «Corriere del giorno», venerdì 14 novembre 1969, p.3

Michele Lanzo, pittore napoletano, ha concluso la sua personale alla Galleria «Il Sedile» di Lecce, con notevole successo di pubblico e di vendite. Egli ha presentato una trentina di opere tra paesaggi, figure e nature morte. Lanzo, su può definire un erede della scuola napoletana, per la sua suggestività che riesce a suscitare in quasi tutte le sue opere permeate da un fascino coloristico e da una coerenza stilistica che lo caratterizza e lo pone all’attenzione della critica. Anche questo pittore, come tanti altri, porta sulle tele il fascino della sua terra, il calore della sua Napoli incantata, il paesaggio marinaro, ove l’azzurro del mare sembra confondersi con quello del cielo, quasi a completamento l’uno dell’altro. La sua pennellata rileva tutta la padronanza della materia fatta di gusto, di una policromia vivace e fresca, realizzata da un realismo espressionistico che si differenzia dagli altri sul piano della realizzazione tecnica. L’artista, con notevole maestria, riesce a racchiudere, nelle sue opere, tutto un mondo reso luce e colore e ad accomunare oggetti, figure e paesaggi di pregevole orditura. Spesso ci sentiamo portati a guardare la pittura come ad una simbiosi di problemi umani, perché essa fa parte della vita e rispecchia gli aspetti di ambiente o una catarsi di ordine sociale. Ma Michele Lanzo scevro di ogni meschina scoperta, è un pittore cosciente della sua arte e costruisce la sua pittura su solidi svolgimenti cromatici, evidenziando la ricezione di una realtà che avvertita soggettivamente, determina una presa di contatto tra elemento stilistico e sensazione individuale per giungere facilmente alla creazione di un’opera d’arte. Questa trasfusione, tra soggetto e resa coloristica, trasfonde nell’osservatore un messaggio spirituale di un mondo in dissoluzione i cui valori perdono la loro efficacia per effetto di un eccessivo desiderio di rinnovo sociologico che spesso fonda le sue radici su basi troppo avanzate, ma altrettanto malferme. Michele Lanzo, lungi dal crearsi tali problemi, rimane sempre un pittore, forte di una carica di umanità che riesce ad esternare, sia pure in chiave moderna, una dinamica, una concezione ed un chiaro equilibrio pittorico che esula dalle solite forme volute da un certo tipo di esibizione, a volte latente, ma spietato e deleterio.

Giuseppe Vese

Espone a Lecce interessanti opere presso la galleria il Sedile, in «L’Unità», 9 novembre 1969

Espone in questi giorni a Lecce – presso il Sedile – il giovane pittore Michele Lanzo. Calabrese d’origine e napoletano d’adozione, Lanzo ha appeso alle pareti della galleria leccese una trentina di opere fra le più recenti e significative della sua produzione: marine, case, nature morte, figure umane. Ed il successo non gli manca. Più che la tematica del suo discorso pittorico – già definita nella parte che mostra, ma limitata e comunque non originale – ciò che colpisce ed emoziona nelle opere di Lanzo è la componente coloristica: forse essa più che una componente è addirittura l’essenza stessa del suo lavoro. Dal bruno sgargiante, dal fondo intenso al chiaroscuro, è tutta un’esplosione di colori. Ed è dai colori, più che dalle forme o dai soggetti, che traggono origine sensazioni, entusiasmi, supposizioni che numerosi si affollano nella mete dell’osservatore. Ma ci si attenderebbe di più; è soprattutto il pittore che dovrebbe pretendere di più da se stesso: una analisi più attenta e partecipe, uno scandaglio più penetrante, un’esplicazione più chiara e compiuta della vita che lui stesso dà agli uomini e alle cose delle sue tele. Ci sembra necessario, se è vero che il pittore è qualche cosa di più del cantastorie, sia pure moderno e appassionato.

Eugenio Manca

Nelle opere del Lanzo il colore di Pozzuoli assume toni passionali, in «Il Roma», 24 ottobre 1969, p. 8

Al Grand Hotel di Pinetamare si è inaugurata sabato scorso una personale del giovane artista puteolano Michele Lanzo. Conosciamo il Lanzo da oltre un decennio, ed avemmo modi di ammirare alcuni suoi dipinti che poi furono esposti con successo alla «Buhardilla» di Napoli. Era allora agli inizi della sua carriera, ma un inizio che prometteva un sicuro sviluppo. Dopo tanto tempo, abbiamo avuto modi di ammirarlo nella hall dell’Hotel di Coppola Pinetamare, dove figurano i suoi dipinti più recenti, oggi Lanzo rivela una fisionomia più marcata, un piglio più deciso, ed ancora un particolare sul mondo pittorico, immune da influenze, caratterizzato da un «pathos» drammatico e da una concitazione di linguaggio, questa volta perfino sconcertante. Rapidità di pennellate, colorazione grave dalla tonalità fredda, giuochi luministici, sintesi delle forme: tutto ciò riscontrabile in tutti i suoi paesaggi («Barche a secco») - «Il golfo di Pozzuoli», «Campagna Flegrea» ove è notevole l’intensità dei «neri» e l’accentuazione drammatica, «Tramonto a Pozzuoli» che potrebbe richiamare alla memoria Turner per certi arditi effetti di luce. Senza portare ancora per le lunghe il discorso, possiamo dire che dopo aver ammirato con attenzione questi suoi recenti dipinti, che il giovane artista di dieci anni fa, è diventato un artista maturo e quotato. Che Michele Lanzo sia un pittore serio e di una non lieve validità artistica, lo testimoniano le opere esposte in questa personale di Pinetamare come «Navi a Baia» che è delle opere più ammirate.

Filippo Spina

Presentazione della mostra tenutasi al Palazzetto dell’Arte, Foggia 1970

Il giovane pittore Michele Lanzo, calabrese che ormai risiede a Napoli da anni e qui si è maturato da solo con approfondita serietà seguendo solo il filo originale della propria ispirazione, non ha mai ceduto agli allettamenti e alle tentazioni degli sperimentalismi odierni, né, tantomeno alle ingiunzioni delle effimere mode che si vanno scavalcando pur a distanza di una sola stagione. E neanche si è lasciato attrarre dalle facili seduzioni dei postumi locali dell’ultimo ottocento, che ancora prosperano fra noi. (E solo in lui è forse riconoscibile qualche accenno tratto del migliore Pratella). La vicenda formativa di Lanzo, i maestri che egli ha scelto, indipendentemente da ogni apprendistato scolastico, spaziano su di un ampio orizzonte così nazionale come europeo. Quanto a quest’ultimo è evidente l’influenza dell’espressionismo dei primi decenni di questo secolo, ma attinto piuttosto che dalle primeve sorgenti germaniche, dalle concomitanti esperienze di una così singolare autonomia, austriache e fiamminghe. È prevalente in lui la lezione del viennese Oscar Hakaschka nei drammatici paesaggi di terra e di fiumi, ora abbagliati da catastrofiche luci di occasi, con una impaginazione della tela ritmata da trochi spogli, oppure contesti di una drammatica rete di rami contorti e di stecchi sfrenati dalle burrasche sotto un cielo sconvolto e incombente su di una natura in sussulto, impregnati di luci vivide e corrusche. Quanto all’intervento fantastico del fiammingo Permeke esponente di un espressionismo intimo ed intenso, permeato di risonanze Rembrandtiane, il nostro pittore ha da lui appreso quanto gli occorreva a confermarlo nella sua ispirazione. Circa i riecheggiamenti di maestri italiani del primo novecento, sono palesi i ricordi dell’impressionismo magico di De Pisis, sciolto in frantumazioni delle pennellate di Guardi. Così, il nostro giovane pittore ha tratto dalla pittura moderna tutto quanto si confaceva alla sua propria natura di artista (aggiungendo spunti e riflessi dall’esempio di Vlaminck, un altro fiammingo di scuola parigina), restando fermo alla sua natura particolare e non disdegnando l’ascendenza meridionale da Toma a Crisconio. I suoi fiori e le nature morte, si alleano in qualche modo agli esiti, più felici e liberi, dei paesaggi più decisamente espressionistici di derivazione europea.

Carlo Barbieri

L’espressionismo drammatico di Michele Lanzo, in «Napoli notte», a. 16, n. 6, 12 marzo 1971

L’artista calabrese Michele Lanzo, che tanti consensi ha finora ricevuto per i suoi pregiati paesaggi e per la sua apprezzata tecnica giudicata positivamente dai critici specializzati, è ritornato alla ribalta con una serie di tele che mostrano i segni della maturità del maestro. Dopo i precedenti lavori esposti e premiati in varie mostre e dopo i lusinghieri consensi ricevuti da personalità civili ed ecclesiastiche, medaglie d’oro ed attestati compresi, il pittore Lanzo ha voluto fermarsi a Torre del Greco allestendo una personale in questi giorni nella Saletta Tammaro. Si tratta di una rassegna che va riscuotendo tanto successo di pubblico e che al pubblico dà tutto con i suoi svolgimenti cromatici, dove è facile leggere i segni di un interiore approfondimento, raro e poetico; segni di un’arte che si fa amare e, strano, sembra che anche essa ci ami. La pittura di Michele Lanzo invoglia a parlare. Perché? Forse qualcosa viene rappresentata – nella maggior parte dei suoi quadri – come in un teatro: ogni volta una specie di miracolo. Ci ritroviamo sempre una storia, o parecchie, poiché ciascuno dei suoi personaggi recita la propria storia. Ma l’arte di Lanzo non ci invoglia soltanto a parlare, ma anche ad ascoltare. La storia, vogliamo dire il passato, sta egualmente in essa, in ogni sua opera, in primo piano o sullo sfondo e noi ci sentiamo assai vicini alla vita, com’egli la vede, quale la dipinge, così vicino che talvolta ci pare d’udirne il respiro, a contatto di quei soggetti che chiedono solo di essere reali, che vivono una esistenza irrisoria o no, sia nelle adiacenze di una terra, di un fiume o ritmati da tronchi spogli in uno scenario abbagliato da catastrofiche luci o nel contesto di una drammatica rete di rami contorti. Mondo né più né meno assurdo del nostro, ma dove circola, si direbbe, un calore che a noi manca. E quando, abbandonando la mostra, abbiamo visto il maestro in giro per la cittadina vesuviana, nulla modificava la sua espressione, forse perché una cittadina come questa di Torre del Greco egli l’aveva già dipinta. Riconosceremmo, infatti, negli oggetti e nelle immagini lungo le strade, gli stessi motivi della figura o della natura morta che egli aveva realizzato con sensualità coloristiche e preziosità di materia. Michele Lanzo porterà via da Torre un grande ricordo: quello di un pubblico che sa riconoscere il sentimento profondo di una comunicazione. Una comunicazione intesa nella drammaticità della sua fantasia; un’arte spontanea nutrita di quanto nell’anima dell’uomo è amore, dolore, gioia e malinconia che alla presenza delle sue opere si coglie dal vivo il talento magico di una pennellata che non muore. La mostra di Lanzo è stata visitata anche da tanti giovani che si sono immersi nell’architettura movimentata proposta dal maestro per cercare di sognare e creare un calore che spesso viene loro a mancare nella realtà.

Vittorio Como

Le mostre di pittura: Michele Lanzo al «Banco di Napoli», in «Napoli notte», a. 16, n. 24, 30-31 gennaio 1971

Al circolo Banco di Napoli in piazzetta Augusteo espone un giovane artista già conosciuto da collezionisti ed amatori d’arte, Michele Lanzo. Dopo i successi riportati nelle mostre tenute a Foggia ed a Lecce alla galleria Il Sedile, Lanzo è ritornato nella sua città di adozione. Le tele esposte al Banco di Napoli ci convincono, ancora una volta, che Lanzo è un artista che può andare oltre, nel suo discorso. Nella presentazione a catalogo, Carlo Barbieri fa riferimento ad Oscar Kokoschka, al fiammingo Permeka ed ancora a Filippo de Pisis, per poi riandare al Vlamick e per ultimo l’ascendenza meridionale da Toma a Crisconio. Secondo noi Lanzo è un artista che alla naturale disposizione per la pittura accoppia una buona dose di tecnica e che usa bene il colore e sarà proprio il colore il suo cavallo di battaglia, oltre ad una pennellata larga che spesso permetta all’artista di realizzare composizioni, con ottime sintesi coloristiche e molto materiche.

Guido della Martora

Michele Lanzo, in «Quadrante delle arti», a. II, n. 11, dicembre 1972

Michele Lanzo non deriva da scuole particolari il suo criterio pittorico. Si potrebbe collegare a tutta una tradizione di figurativismo impressionistico che ha avuto le sue radici nell’Ottocento, non solo francese, ma anche italiano e meridionale. Michele Lanzo, calabrese, trapiantato a Napoli, ha saputo vedere con i propri occhi le varie esperienze artistiche, accettando quanto di meglio si attagliava alla sua concezione pittorica. Di temperamento passionale e ardimentoso ha saputo calare nella tela le impressioni che gli offriva il mondo circostante. Nella figura ha scoperto il compendio della creazione e soprattutto della donna. La donna diventa richiamo di paesaggio, di interni, di fiumi, di mare. Anche se nella composizione tutto questo non appare, s’intuisce dalla pennellata sinuosa e pastosa l’esuberanza della sua concezione panica del mondo. E quando tratta soggetti di natura diversa dalla donna s’individua nelle masse colorate, siano nature morte o alberi o case, la presenza di un volto, di un torso, di una gamba, di una mano. Giovane ancora, Lanzo si muove con assoluta disinvoltura alla ricerca di se stesso nelle cose (in fondo, la stessa presenza umana, se pure per lo più rappresentata dalla donna, è il segno della sua presenza) e scava nel colore, nelle forme, nei colori i suoi sentimenti. Riporta dal mondo circostante le impressioni che colpiscono i suoi sensi, ma poi è lui che conferisce alle rappresentazioni che ne ricava l’espressione dell’io interiore. Ha cadenze, nella orchestrazione dei colori, di tono a volte drammatico, a volte di semplice evocazione memoriale: e tutto si muove con partecipazione diretta, con intervento preciso e meditato dove la linea lo richiama a scandire il suo ritmo emotivo. C’è da credere, data la sua tenacia d’indagine e il continuo lavoro di affinamento, che il suo nome in un futuro non lontano possa avere più marcata risonanza.

Bonifacio Malandrino

Presentazione della mostra tenutasi alla Galleria Il Sedile, Lecce 1975

Michele Lanzo, pittore napoletano per elezione, è essenzialmente un artista del figurativo nel significato migliore che questo aggettivo conserva tuttora. La sua pittura, decifrabile in una tematica semplice e cosiddetta tradizionale, risulta caratterizzata da una originale quanto prepotente ispirazione, che si presenta del tutto incontaminata tanto dalle allettanti ed il più delle volte facili tentazioni erompenti della lunga serie degli “ismi” ricorrenti quanto dalle facili lusinghe che la Napoli otto centesca promana ancora. Certamente Michele Lanzo ha operato le sue scelte fra le varie correnti pittoriche e dell’Ottocento e del Novecento; e ciò indipendentemente dagli studi eseguiti e, nel contempo, dalle naturali malie di cui Napoli è sempre prodiga. Nel Lanzo è ben evidente l’influenza dell’Espressionismo dell’inizio del presente secolo, e come giustamente nota in una precedente critica l’esimio Carlo Barbieri questi non sembra aver attinto dal filone dell’Espressionismo tedesco quanto piuttosto e sapientemente ha saputo guardare con attento stupore al filone austriaco e fiammingo della medesima corrente artistica. Chi ha già scritto sul l’arte del Lanzo ha via via fatto presente che nelle sue opere si scorge il ricordo del Turner, del Permeke, del Kokoschka, del De Pisis, del Vlaminck e di altri ancora. Ebbene, bisogna subito dire che il Lanzo ha certamente saputo guardare ed assimilare questa serie di artisti per poi, al momento della propria realizzazione pittorica, seguire esclusivamente ed essenzialmente la sua indole ispiratrice, che lo ha portato e lo porta ancora in maniera sempre più felice e personale ad esprimere la sua passione fatta di vita vera e di una insolita ricchezza di motivi spirituali. Venendo a parlare della pittura di Michele Lanzo si deve portare innanzi tutto l’accento sulla sua pennellata, che risulta larga, inquieta, rapida, piena di movimento e senza alcun ripensamento di sorta. Inoltre il colore si presenta impetuosamente con sensuale forza emotiva. Un colore misto ora da un copioso impasto e di velatura, ora di tinte luminosissime alternate a tinte dolcemente brunite, ora risolto con trasparenze e luci violente, ora, infine un passar veloce di luci smarrite e di effetti timbrici che si dissolvono dappertutto. A tutto ciò, infine, s’accompagna una piena e sicura padronanza della materia. Si giunge così alla stesura di un realismo che si definisce per l’appunto espressionistico, composto da solidi sviluppi cromatici che colpiscono ed emozionano al tempo stesso, vivificato da un tenace e travolgente fervore e dalla sua innata passionalità che riescono a concretizzarsi grazie ad un “raptus” creativo veramente insolito, suadente e sorprendente insieme. Il nostro sguardo resta infatti dapprima sorpreso e poi stupito nell’osservare i suoi paesaggi e le sue figure. Nel Lanzo il paesaggio non è quello solito della Napoli pittoresca ed arcinota: l’artista si sofferma invece a dipingere il paesaggio napoletano meno conosciuto e più generico, egli si sofferma là dove l’animo improvvisamente gli suggerisce. Ed è così che il Lanzo ci presenta il paesaggio dell’entroterra campano; della zona periferica di quella Napoli meno nobile e sconosciuta, ma sempre interessante. Ecco dunque i porticcioli ricolmi di barche e di rimorchiatori, ecco il paesaggio della povera gente, degli operai e dei contadini, in cui la drammaticità quotidiana ci viene mostrata ed offerta senza forzature grazie alla già menzionata tonalità di luci violente ed impetuose, grazie ad un colore ora abbrunato ora abbagliante. E’ la sua una pittura pittorica, dove le mezze luci ed i mezzi toni sembrano sottostare fatalmente alla violenza delle luci e dei toni decisi. Una pittura che risulta libera di effondersi sui sentimenti che il quotidiano incontro con la natura vibrante delle piante, delle nuvole, delle strade di città o delle immense e silenti campagne, con i porti e le barche, con i suoi tipici rimorchiatori gli suggerisce con una naturalissima accentuazione d’armonia sempre però inquieta e struggente. Nei suoi paesaggi, nei più, è sempre presente la pianta, che non è però quella florida e rigogliosa, ma quella spoglia e scheletrica che viene a campeggiare l’intera tela per via di un’orditura spezzettata e nel contempo continua. L’albero è appunto; un leit motiv ricorrente che ci testimonia chiaramente l’amore che l’artista nutre verso la vita e la natura stessa, con un dirompente entusiasmo che s’arricchisce sulla tela grazie ad una essenzialità timbrica notevole. Nella figura, poi, notiamo che il Lanzo riporta nella stesura del soggetto tutta la propria originale carica espressiva concretizzantesi ancora una volta con la solita pennellata vigorosa e decisa. Nelle sue figure, quasi sempre femminili, il viso assume la parte preminente sul resto del corpo: lo sguardo di queste figure è pensoso, a volte assorto, carico ora di vis drammatica ed ora di dolce umanità e di pace interiore. Nel volto l’artista esprime il suo incontenibile desiderio e l’assoluta esigenza di presentare a colui che osserva l’opera il suo vero animo plasmato di semplice e pura umanità e di suadente poesia. Non meno felice, infine, troviamo il Nostro nella realizzazione della natura morta e dei fiori. Entrambi questi soggetti vivono e palpitano grazie a quella forza espressiva succitata e grazie ancora ad una spiccata ed inconfondibile sintesi di colore e di materia. Questo è Michele Lanzo un pittore che opera con onestà e che come gli artisti è destinato a raggiungere il giusto e meritato riconoscimento che spetta agli artisti veri.

Giancarlo Sergio

Michele Lanzo alla Cornaro, in «L’Eco di Bergamo», 7 marzo 1976

Espone per la prima volta a Bergamo, presso la Galleria d’arte Cornaro, il pittore napoletano Michele Lanzo. Michele Lanzo offre quindi una serie di opere ad olio di pregevole esecuzione ed interpretazione. La sua caratteristica di pittore meridionale, appassionato e innamorato dei colori della sua terra, è espressa attraverso una personalità ben distinta. Non sono i suoi quadri soltanto un’esaltazione del cromatismo in quanto tale, ma un cromatismo in rapporto ad un concetto ben definito, dove la natura, nelle sue creazioni, figure, nature morte, paesaggi, si esprime in tutta la sua poesia. Michele Lanzo si rileva infatti un poeta vero, che va a cogliere le sottigliezze di ogni soggetto da lui esaminato senza però perdersi in quisquiglie inutili. Nella sua pennellata e nei suoi segni sicuri, è l’essenziale di un lirismo indicato per sommi capi, è l’immagine vera di ogni realtà colta nella sua atmosfera, dopo aver lasciato da parte quella complementarietà che riuscirebbe all’osservatore più di disturbo che di concentrazione. Servendosi quindi di uno stile espressionista, il pensiero diviene immediato e subito recepibile anche per il fatto che l’artista non ricorre ad astrazioni me rimane sempre fedele al figurativo. Con il disegno rispettato nei suoi canoni fondamentali, il che dimostra pure un’esperienza acquisita con studio e applicazione, Michele Lanzo accentua la sua attenzione sui delicati passaggi tonali in un’armonia d’insieme assai melodica. Anche se i colori si rivestono di timbri forti, come si diceva, tuttavia nessuno si contrasta e nessuno si contrappone in forma stridente. La composizione si costruisce quindi con queste stesse tonalità per cui ogni opera diviene completa nella struttura fondamentale e nell’interpretazione artistica.

Lino Lazzari

Michele Lanzo: plasticità e forza, in «Il Gazzettino vesuviano», a. IX, n. 3, 31 marzo 1979

Un breve discorso critico sulla pittura del figurativo Michele Lanzo deve necessariamente essere sostenuto da una constatazione di fondo, ovvero, che all’origine della pittura di questo serio operatore vi siano una serie di elementi e di riconosciute capacità tecniche che caratterizzano in modo veramente eccellente tutta la sua produzione. Lanzo dipinge i temi che sono cari alla pittura classica, cioè il paesaggio, la natura morta, e naturalmente alla sommatoria di tutto la figura, il soggetto più pregiato e insidioso, che i pittori amano e temono. Lanzo ne esce vincitore a pieno titolo, e senza voler stare qui a gettare alcuna ombra di discredito sull’altra sua produzione tematica, non abbiamo difficoltà ad affermare che secondo noi egli raggiunge proprio nelle figure il meglio di se stesso. E questo per diversi motivi o elementi. Innanzitutto la constatazione dell’uso dei colori, che egli adopera in modo veramente personale e intimo, con pennellate fluide che sembrano indicare scansioni di tempo e di stagioni. Ed è così che prendono corpo e forma i suoi nudi, bellissime visioni di donne ignude in posizioni così capricciose da rendere ancora più arduo per il pittore scavarne e inciderne i connotati psicologici, in una sorta di operazione che di volta in volta assume le caratteristiche di conturbanti nuances. E perciò rimani avvinto, ammaliato, da quei colori tenui e sfumati che sembrano decorati da una mano che ci vien di paragonare a De Pisis, il superbo cantore dei languori dello spirito nelle fattezze di efebi e di fanciulle appena adolescenti.

Gaetano Romano

Michele Lanzo pittore per vocazione, in «Quadrante delle arti», a. X, n. 6, giugno 1980

Quando l’arte è espressione di sensibilità acuta, di spontaneità emotiva, di indipendenza tesa verso i più liberi ed azzardati voli deve inevitabilmente attrarre il critico, l’esperto, il collezionista smaliziato, come, persino, il semplice amatore sprovveduto ed incolto. E quest’arte la si trova spesso negli autodidatti anziché nei professionisti. Non hanno scelto una professione, ma sono stati spinti da una forza intima verso l’arte, inconsciamente prima ed un po’ alla volta, in seguito, con presa di coscienza, convinzione ed affinamento di osservazione e di tecnica con lo studio diretto dal vero; non distratti dalle opere degli altri e specie delle correnti e delle mode. Piuttosto si sono scelti, per affinità elettiva, qualche maestro; hanno potuto liberamente farsi una cultura. Del resto tutta l’arte moderna, con l’appoggio della critica ufficiale, non ha forse accantonato scuola, disegno, prospettiva per additare le vie dell’astratto, del surreale, del metafisico, del concettuale e, persino del banale…?! Del resto non ci si sbaglierebbe molto, forse a ritenere che in arte valga più la genialità, la sensibilità, la spontaneità, l’amore, che la cultura per attrarre, piacere, sollevare lo spirito ed educare, anche! Nella, ormai, mia lunga, attenta osservazione, posso affermare che gli incontri più numerosi interessanti ed emozionanti sono stati quelli con artisti autodidatti. Può darsi – a voler essere sincero o freddamente autocritico – che mi abbia spinto all’emotività ed all’interessamento, innanzi alla validità e bellezza dell’opera la notizia della estraneità di una Scuola. Il caso dell’artista calabrese Michele Lanzo rientra nel novero di questi geniali autodidatti. Egli non è sfuggito all’attenzione di noti critici d’arte fin dai suoi anni giovanili; da Barbieri a Girace, Schettini, Menna, Miele ecc. Lo si è accostato agli espressionisti, ma il suo è un espressionismo sintetico, lieve, elegante vaporoso che nulla attinge a quello nordico. Esso è italiano, meridionale, mediterraneo. Egli non incide, non scandisce, non delimita e definisce col disegno; sfiora e sorvola, tocca e passa oltre, rapido così che la tela viene attintata di colore prezioso ma sfumato. Frammenta, magari, il paesaggio e la natura morta, dando ad essi un senso di instabilità e drammaticità ma non squadra, scompone o disseziona col calcolo dei cubisti e futuristi. Segna rapido i connotati nell’attimo emozionale con poche pennellate al posto e col tono giusto, con una musicalità delicata, in sordina da esperto di note e di colori; da pittore e musicofilo quale anche è egli raggiunge preziosità espressive con scarso colore, poche annotazioni, sfumature di contorno, nei nudi specialmente. Richiama alla mia memoria visiva soprattutto la pittura di Tranquillo Cremona ed Armando Spadini proprio per quelle particolarità più caratteristiche e personali sue di morbidezza, incertezza dei contorni che si fondono con lo spazio circostante, i cui colori concorrono all’armonia del tutto. E non per nulla…Spadini fu per così poco studente all’Accademia Fiorentina di Belle Arti…facendo poi tutto da se! Forte lavoratore Michele Lanzo ha tutte le qualità per affermarsi tra i più validi nostri pittori del figurativo avanzato moderno, che solleva la realtà verso cieli della fantasia, tra musica, poesia e sogno. Suo merito, non trascurabile, è quello di dipingere per se e non per il mercato…pur vivendo di pittura, cosa poco facile oggi, salvo per i grossi Maestri arrivati.

Luigi Manzi

Presentazione della mostra tenutasi alla Galleria Il Meridiano, Napoli 1985

Un leggero stemperarsi cromatica, levitante e pure, quasi a tratti evanescente, che non si racchiude nella perimetralità del quadro ma che si estende oltre la tela e la cornice, per un’espansione di un luminoso chiarismo tonale estensivo dei soggetti raffigurati, vive nelle immagini di Michele Lanzo. L’immagine, sia essa figura, paesaggio e natura morta, si muove sciolta nella sua fresca e spontanea esegesi compositiva, in armoniche notazioni segniche e cromatiche, che si sciolgono libere fra una trasparenza e una dissolvenza mitiche, si direbbe, nel senso di una presenza assenza dell’immagine raffigurata nel tempo umano. Il suo gusto per l’immagine, memento pulsionale interiore, sensibilizzante dell’estrinsecazione poetica, si compendia in una quanto mai felice attenzione alle più sottili variazioni della luce e del colore, come per gli impressionisti per i quali il colore era un mezzo per avvicinarsi il più possibile alla verità dell’atmosfera e della luce naturale. Ed è luce nel tempo umano quella che permea e pervade la distensiva atmosfera delle opere di Lanzo e che scaturisce, luminosa e vivida da esse; è una luce ariosa, soffusa e diffusa al contempo, impalpabile che si insinua, seducente nel morbido tessuto pittorico esaltandone l’armonia della composizione connotata dal gesto ampio e da una stesura cromatica dolce e distensiva, compresa in tutta la sua sciolta, fresca ed ariosa espressività. La rapidità esecutiva dell’ordito compositivo e dall’esegesi figurale estensiva del fatto artistico, denotata da tocchi veloci ma altamente espressivi, della poetica del segno e della forma, pregni di una calda e suadente leggibilità sensibilizzatrice visiva ed operativa, evidenzia nel Lanzo una capacità sintetica dell’immagine e della forma, capacità tesa ad esaltare e ad evidenziare la pregevole e squisita artisticità e professionalità che al Lanzo gli si ascrive indubbia, il quale si muove in una sfera di robusta e vellutata operatività che attinge, intimamente ed intensamente da notazioni espressioniste, del più sensitivo impressionismo, ma più specificamente alla lezione di Matisse , alle larghe ed ariose pennellate di Nolde, alla prima maniera di Vlaminch e ai Fauves i quali trovarono d’istinto un’alternativa all’impressionismo ed all’espressionismo nell’esaltazione della costruttività del colore, assunto nella sua purezza e nel suo valore. Ma un referente di più interessante memoria lo si può rilevare, per l’opera del Lanzo, e del quale ce ne compiace accennarne, dalla natura umorale pittorica di De Pisis, una natura che non vuole mai morire ma che si compiace di essere eternata in quell’attimo vibrante, sfuggente, di intima memoria e della sua presenza nel mondo del fruibile, del vivibile, del sensibile, del godibile così come per il Lanzo.

Sabino Manganelli

Personale artistica di Michele Lanzo, in «Il Domani della Calabria», 2 novembre 2003 VIBO VALENTIA

Michele Lanzo, calabrese, è una presenza significativa e attiva della pittura italiana. La sua personale a palazzo Gagliardi, di alto spessore artistico, ne è chiara dimostrazione. Lo si accosta all’impressionismo e all’espressionismo, lo si ritiene seguace dei Fauves e del realismo, di Matisse, di Nolde, di De Pisis: scuole e nomi che stridono spesso tra loro e che, perciò, dimostrano che il nostro non sia epigono di nessuna corrente artistica, anche se di alcuni maestri rivela flebili echi. Lanzo è sì immerso tra le tendenze che intersecano l’arte moderna e contemporanea, ma percorre autonomamente la sua strada, rivelando un sincretismo pittorico originalissimo, frutto di studio vasto e appassionato. Rifugge comunque dal provincialismo. Si crogiola nel fermento che sommuove il nostro tempo, ne coglie l’inquietudine, racconta di sé e dell’uomo. Per questo la sua pittura non è semplice decorazione, né epidermico diletto: è ricerca del senso e del sentimento del vivere. La realtà che rappresenta, spesso, ha connotati drammatici: l’atmosfera è ingrigita da acque in bufera e alberi contorti, i paesaggi, tra viluppi vegetali, hanno talora cieli plumbei e sole incerto, le figure pare si frantumino. E’ una realtà, più che percepita, pensata e sognata tra sbigottimento e disincanto; una realtà che scuote. E sorprendono le nature morte (bottiglie, lumi, vasi, fiori…) per l’effetto plastico che producono, permeate dall’intima essenza in esse racchiusa. I nudi di Lanzo, poi, hanno un timbro del tutto particolare. Sono donne sinuose e morbide, le quali sprigionano sensualità e musicale armonia, addolcite dalla luce che riverberando le avvolge: un dono, un’offerta. Ma Lanzo eccelle anche nelle figure umane. Pochi come lui riescono a compenetrarsi in esse e con esse, a renderne la pietas o il subbuglio psicologico. Questo ed altro dipingere Lanzo con esuberanza cromatica e con rapide, decise pennellate. Non indugia. I grigi, i verdi cupi, i bianchi, i rossi sanguigni sono come segmenti dell’anima con cui colora i giorni e le opere di uomini e cose di questo nostro mondo così fragile, così tenero, così tormentato…eppure così bello.

Rocco Cambereri

Michele Lanzo, La pittura del sentimento cosmico, in «Arte & Carte», a. III, 28 marzo 2006

La pittura di Lanzo esprime un sentimento cosmico della natura in cui l’uomo, nel riconoscimento e nell’accettazione di far parte di un ordine, trova la sua collocazione e il senso della sua esistenza. Da quest’ordine nasce quella “pietà cosmica” che non è tanto un sentimento religioso, quanto l’espressione antropologica della ricerca universale. Il Cosmo come spettacolo dove l’uomo vede la totalità, l’essere, a cui deve omologarsi. Pittura di forti cromatismi che si aprono ai grandi orizzonti naturali. Una natura, quella dipinta da, Lanzo che è vista nelle universali dimensioni dello spazio, di quell’enigma della dimensione spaziale che è accompagnato dalla consapevolezza di presenze armoniose e di tensioni verso l’unità. Visioni delle linee idee che delimitano i paesaggi, dove si incontrano terra, acqua e cielo; attesa di presenze indefinite che trova forza e confronto nella bellezza del creato. E’ un’attenzione che si rivolge allo spazio dell’interrogazione, dove a porre le domande non siamo noi, ma il mistero della natura che ci ha sorpreso nel nostro inquieto scrutare. Per essere compresa la pittura di Lanzo esige un’attenzione particolare. Fra i suoi dipinti e lo spettatore deve nascere un rapporto intimo, senza il quale è impossibile un contatto emotivo. Se questa adesione spirituale viene a mancare, la lettura delle sue opere risulta insufficiente e incapace di interpretazione.

Maria Rosaria Pullo